Arde nella notte

Arde nella notte

A chilometri di distanza ognuno si preparava per la notte.

A Roma Piero si teneva la testa tra le mani, cercando di scrollarsi di dosso la stanchezza; le bambine già dormivano e sua moglie, a letto, leggeva l’ennesima relazione portata dall’ufficio. Uscì sul balcone a fumare un sigaro, unico vizio che si concedeva da anni. L’aria pizzicava sulle mani, fredde e intorpidite dal lungo battere sulla tastiera del pc. Ogni giorno gli sembrava di dover salvare il mondo tra statistiche, comunicati e dichiarazioni. Tutte da trascrivere, abbellire e veicolare nel modo migliore. Bastava una virgola sbagliata ed ecco il patatrac.
Il peso di questa responsabilità gli faceva spesso incurvare le spalle tanto che, poche ore prima, guardandosi nel riflesso della finestra gli era sembrato di scorgere uno sconosciuto.

Alice, a 50 chilometri di distanza, si guardava allo specchio e armeggiava con il latte detergente; fin dall’adolescenza aveva disdegnato il rito del make up quotidiano: senza trucco si vedeva più leggera, più bella. Con il passare degli anni si era accorta che tendeva a truccarsi solo quando il malumore era forte, quasi a volerlo celare sotto un forte strato di blush e smokey eyes.
Oggi il trucco era stato particolarmente pesante e per torglierlo non sarebbe bastata una passata e via.

Ad una manciata di chilometri Erica stava rannicchiata sulla poltrona davanti al camino e guardava il cellulare con la batteria quasi scarica. Se solo avesse potuto spegnerlo… Anche solo per una notte.
Passava metà giornata con quell’aggeggio in mano e l’altra metà a fronteggiare le situazioni che ne scaturivano. Chiamate, mail, videoconferenze: era francamente esausta e la faceva impazzire il fatto di non poterlo spegnere, almeno per un po’.
L’unica telefonata che avrebbe voluto ricevere non non sarebbe arrivata neanche quella sera, già lo sapeva.

Poco prima di mezzanotte, mentre Erica sonnecchiava sulla poltrona con il cellulare ancora in mano, anche Alice si era spostata nel salotto di casa sua davanti al caminetto acceso. Il buio avvolgeva la stanza e le fiamme ardenti catturavano ipnotiche la sua attenzione. Finalmente poteva concentrarsi su sé stessa e la quiete che provava in quel momento non aveva prezzo.
Tornare a casa e chiudere il mondo fuori: questo era ciò che amava di più della notte; prese in mano un lungo bastoncino e lasciò che la punta si infuocasse appena tra le fiamme, roteandolo poi nel buio della stanza con la sua bellezza ossessiva.

Nel frattempo Piero era rientrato in casa, infreddolito a tal punto da desiderare il calore del letto. La luce in camera era spenta, sua moglie si era già addormentata da tempo. Si mosse lento verso la stanza ma qualcosa lo trattenne. Si guardò intorno, in quella sala da pranzo ordinata e lievemente borghese: c’era profumo di famiglia, magari non nel senso tradizionale del termine, ma da ogni oggetto sistemato con cura trapelava un forte bisogno di ordine e praticità.

Da qualche tempo mancava l’imprevisto nella sua vita, questa era la verità sconcertante. Qualcosa che portasse scompiglio e colore in quelle giornate così rapide e ordinate.

Ardeva nella notte il desiderio di poesia, mentre qualche macchina solitaria sfrecciava sul lungotevere.

All’improvviso pensò ad Alice e poi ad Erica.
Le aveva conosciute quasi per gioco, anni prima; si erano persi, ritrovati, poi di nuovo persi.

Ritrovarle ancora sarebbe stata forse la soluzione?

Le immaginò lontane, sempre in bilico tra sogni e turbamenti, sedute magari davanti al caminetto acceso intente a scrivere qualche storia: Alice e la sua fantasia malinconica, Erica con la sua curiosità mai sazia.

Ardeva nella notte il desiderio di rivederle, anche solo per un’ora, anche solo per baciarle sulla testa, tra quei capelli perennemente disordinati che le rendevano immensamente belle.

Piero amava sua moglie sopra ogni cosa, sul serio, ma Alice ed Erica appartenevano ad un gioco in cui nessun’altro poteva entrare.

Come due folate di vento, andavano e venivano nella sua vita, accompagnate  dalla loro assurda stravaganza: lo spiazzavano  con le riflessioni più disarmanti, gli strappavano un sorriso anche nelle ore più cupe e soprattutto riuscivano ad esaltare il suo lato da sognatore che credeva di aver perduto ai tempi dell’università.

Un’amicizia bislacca, insomma, ma assolutamente notevole.

Si, doveva ritrovarle, anche solo per un’ora.

Anche solo per baciarle sulla testa e dir loro dolcemente che si era perso nel tempo distorto del lungotevere Flaminio, ma che presto si sarebbe salvato.

Ardeva nella notte il desiderio.

Erica, senza rendersene conto, lasciò che il telefono si spegnesse sotto la spinta della batteria ormai scarica. Anche per quella sera lui non l’aveva chiamata.

Alice, spento il fuoco, se ne andò a letto. L’indomani non si sarebbe truccata, ne era certa; avrebbe scritto un bel racconto, magari sulle foglie cadute nell’autunno ormai passato.

Piero spense tutte le luci, andò a letto e baciò sua moglie tra i capelli.

Fuori le macchine correvano, il vento freddo puliva i vicoli del centro.

L’inverno era alle porte, ma questa volta non faceva paura.

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