Sacrofano. Il chiarore dell’alba sulle pietre del ghetto

Sacrofano. Il chiarore dell’alba sulle pietre del ghetto


Un vicolo stretto, pietre umide e silenzio assoluto. Pareti intonacate di fresco si affacciano su una piazza raccolta. Se chiudiamo gli occhi possiamo immaginare come era il ghetto ebraico di Sacrofano nel XVI secolo. Oggi si sveglia elegante al chiarore dell’alba, ma se poggiamo una mano sul muro e ci prestiamo all’ascolto possiamo ancora sentire le tracce di ieri.

TRACCE DI STORIA TRA I GRANELLI DI POLVERE

Da oltre duemila anni gli ebrei sono presenti nel territorio del Lazio; aumentarono dopo il 70 d.C. quando arrivarono in massa condotti da Tito. Camminavano lungo un sentiero battuto chiamato diaspora, tra i granelli polverosi di una storia che sembra perpetua.
Nel XVI secolo furono costretti ad abbandonare le terre del sud, espulsi a suon di decreti dal Regno di Napoli, nonostante godessero di ampia benevolenza in quanto abili mercanti di seta.
Proprio in quegli anni tumultuosi alcuni di loro lasciarono Fiumefreddo Bruzio, un piccolo paese vicino Cosenza e si rimisero in viaggio lungo il sentiero.

Forestieri in terra cristiana, alla ricerca di un luogo che somigliasse a una casa.

L’ARRIVO A SACROFANO

Approdarono infine a Sacrofano, dove fu riservata loro la parte alta del borgo. Una zona chiusa a cui si accedeva solo attraverso il vicolo di cui abbiamo parlato. Alla fine di questo c’era una corte, sulla quale si affacciavano gli usci raggiungibili tramite scale di pietra. Al calar della sera una porta all’inizio del vicolo veniva sbarrata e l’orizzonte si limitava al cielo stellato.
Solo alle prime luci dell’alba la porta veniva riaperta e potevano uscire, vivendo però nel rispetto di alcuni precetti: norme, divieti e qualche diritto, questi ultimi disegnati a margine di un quadro complesso.

Ne troviamo traccia nelle leggi razziali del 1555 riportate nello statuto di Sacrofano.
Gli ebrei dovevano indossare sul petto o sul braccio un panno rosso per distinguersi dal resto della cittadinanza; non potevano vendere il pane azzimo o la carne ai sacrofanesi e negli ultimi tre giorni della settimana di Pasqua erano costretti a rimanere in casa. Nel ghetto avevano il forno e la sinagoga, ma non potevano avere uffici pubblici.

Un filo robusto però li legava al paese, costruito sulla loro capacità economica per l’anticipo agrario. I prestiti usurai talvolta crearono anche qualche problema, ma i sacrofanesi se ne servivano quando la necessità di denaro non poteva aspettare.

LA DOPPIA VITA DI UN DOCUMENTO

Su un documento di recente scoperta è riportato anche il tasso di interesse applicabile ai prestiti.
Simone Cuscio, ebreo calabrese, stipulò nel 1543 una convenzione con gli Orsini per poter aprire un banco di prestito nel paese. Il documento è stato trovato dalla studiosa Anna Esposito e ha una singolare storia che lega a doppio filo Sacrofano e la Calabria. Per la prima volta infatti questo atto fu usato proprio a Fiumefreddo Bruzio per accordare l’insediamento di un’altra famiglia ebraica nel paesino vicino Cosenza. Non si hanno notizie di un legame tra Cuscio e l’altra famiglia calabrese, sappiamo solo che il testo fu in seguito rimaneggiato e adattato alle necessità di stipula tra Cuscio e gli Orsini. Riporta infatti più capitoli rispetto all’originario, tra cui anche quello in cui si specifica il tasso di interesse da applicare nei prestiti concessi ai cittadini di Sacrofano. Un documento dalla doppia vita, ma che in sostanza ci ricorda le libertà limitate della comunità ebraica ovunque decidesse si insediarsi.

IL SUSSURRO DELLA MEMORIA SULLE PIETRE DEL GHETTO

La vita nel ghetto proseguì fino alla seconda metà del 1800. Fu abolito a seguito dell’unità d’Italia, quando la presa di Roma decretò la fine del potere temporale del Papa.
Oggi il nome del vicolo ricorda quei tempi lontani, tappa di una diaspora che sembrava perpetua. In una abitazione privata è presente ciò che resta dell’armadio sacro Aron haKodesh, in cui erano custoditi i rotoli della legge ebraica, il Sefer Thorah.

Sorge ancora l’alba sulle pietre del ghetto di Sacrofano, dove le mura intonacate di fresco lasciano vivi gli antichi usci illuminati dal sole.
Ed è proprio in questi momenti di eleganza silente che possiamo sentire i sussurri della memoria, se poggiamo una mano lieve sul muro e ci prestiamo all’ascolto delle tracce di ieri.

Patrizia Piga

Ringraziamo Alessia Felici per averci fornito un’immagine dell’armadio sacro Aron haKodesh di Sacrofano.

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